frame del video instagram e relativo post di chiara ferragni sul pandoro gate

Chiara Ferragni e Pandoro-gate: un errore di comunicazione?

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Tutto comincia con l’operazione commerciale con la Balocco che balza alle cronache natalizie del 2023 come “Pandoro-gate”, operazione del Natale precedente, entrata nel mirino dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato come pratica commerciale scorretta e finita al centro di una indagine per truffa da parte della Procura di Milano.
In un video sul suo canale Instagram da oltre 29 milioni di seguaci, una Chiara Ferragni dimessa e dalla voce rotta annuncia le azioni di riparazione a quanto accaduto e spiega le motivazioni alla base della gaffe. Gaffe che è costata a Ferragni un contraccolpo reputazionale a cui sono seguiti clamorosi passi indietro rispetto ad altri accordi commerciali da parte di aziende come Coca-Cola e Safilo, in un prevedibile effetto domino.
Riguardo ai correttivi, la megainfluencer si impegna a donare all’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino la somma di un milione di euro più l’ammontare pari a un eventuale sconto di sanzione da parte dell’Agcm. Decisione che, d’altronde, annuncia, impugnerà in quanto “sproporzionata e ingiusta”. La sanzione ammonta a un milione di euro, la stessa cifra che le società di Ferragni hanno incassato dalle vendite del dolce natalizio.
Veniamo invece alle motivazioni alla base dell’operazione contestata.
Ferragni parla di “errore di comunicazione” e sottolinea il concetto ripetendolo per tre volte: “… mi sono resa conto di aver commesso un errore di comunicazione”; “anche se il fine ultimo è buono, se non c’è stato un controllo sufficiente sulla comunicazione, può ingenerare equivoci”; “il mio errore in buona fede è stato legare con la comunicazione una attività commerciale a una di solidarietà”.
Non volendo in questa sede analizzare le modalità della gestione della crisi reputazionale (che ritengo peraltro lacunose sotto vari aspetti), vorrei invece soffermarmi proprio sulla decisione di ascrivere l’errore al campo della comunicazione, e cercare di spiegare perché questo non è corretto.
Una prima riflessione può essere fatta restando su un piano di significato più generico e meno tecnico di “comunicazione”. Anche se l’impresa plurimilionaria di Chiara Ferragni si è strutturata sulla comunicazione, non tutto quello che si muove dietro e attorno al brand Chiara Ferragni è ‘solo’ comunicazione. Dietro a quel brand c’è una persona, Chiara Ferragni in primis, e ci sono persone, collaboratori e manager di aziende partner, che operano delle scelte.
In effetti, nella comunicazione dell’operazione commerciale – che sembrerebbe quasi una prassi, stando alla successiva indagine della Guardia di Finanza sulle uova di Pasqua prodotte in co-marketing con Dolci Preziosi – vi è stata un’omissione importante, ovvero quella di rivelare che, a fronte di un dato incasso per la vendita dei pandori, non vi sarebbe stata una proporzionalità nella donazione, peraltro effettuata alcuni mesi prima dell’avvio delle vendite dalla sola Balocco e corrispondente a 50 mila euro, a fronte di ricavi per un milione di euro delle due società di Ferragni coinvolte nell’operazione.
In questo caso, forma uguale sostanza. Comunicare un’operazione di beneficenza associata all’acquisto di un prodotto è come dire al consumatore che, acquistando quel prodotto, e a quella cifra, questi contribuirà all’operazione di beneficenza (nel caso del pandoro, l’acquisto di un macchinario per le cure dei piccoli malati oncologici). Ma questo non è avvenuto.
Se forma uguale sostanza, quindi, perché far passare il messaggio – sia pure implicito – che un errore di forma sia meno grave di un errore di sostanza?
La scelta di legare un’operazione commerciale a una di beneficenza è una scelta di comunicazione o anche una scelta etica? E la comunicazione può essere separata dall’etica? Se dico una bugia o non dico una (parte di) verità, la mia mancanza è di comunicazione o di etica?
Altra riflessione, che richiama la comunicazione a un livello più tecnico. Il rischio di una dichiarazione come quella di Ferragni è far percepire la comunicazione su un piano inferiore e successivo rispetto alle scelte strategiche di marketing. E, in effetti, per alcuni attori è forse proprio così che – incautamente, come abbiamo visto – accade. Ma il valore della comunicazione non può esaurirsi in questo. Capovolgendo il discorso, potremmo dire che è proprio la comunicazione, se realmente strategica, a guidare le stesse azioni e scelte di mercato di un’organizzazione. Per comunicare occorre ascoltare, e un buon presidio di comunicazione avrebbe messo subito in guardia le aziende di Ferragni dall’avviare un’operazione di marketing con quelle modalità. In altri termini, se Ferragni avesse dato più peso alla comunicazione, non avrebbe fatto quella scelta commerciale, o comunque non in quei termini.
Per scoraggiare questo tipo di omissioni, il Governo ha approvato proprio in questi giorni un disegno di legge, passato alle cronache come “ddl Ferragni”. Il ddl obbliga le aziende a una maggiore trasparenza sulle operazioni di beneficenza, imponendo di riportare sulle confezioni opportune informazioni di dettaglio come “l’importo complessivo destinato alla beneficenza, ovvero il valore percentuale sul prezzo di ogni singolo prodotto”.
L’influencer stessa ha salutato in una nota stampa l’intervento governativo come il riempimento di un vuoto normativo che permette di “evitare errori”. Già, ma, per favore, non chiamiamoli più “errori di comunicazione”.

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